Lettera del Collegio Docenti alla Comunità Scolastica del Liceo Virgilio

“E' compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli" che "impediscono il pieno sviluppo della persona umana”, dice l’art. 3 della Costituzione. Noi docenti del Liceo Virgilio vogliamo pensare la scuola della Repubblica e della Costituzione così: come un luogo dove tutte le persone, senza alcuna distinzione (per la nostra Carta – art. 34, “la scuola è aperta a tutti” – nemmeno la mancanza della cittadinanza preclude l’accesso alla scuola) possano studiare, crescere, maturare nelle relazioni e nel dialogo educativo. Un luogo dove a tutte e a tutti vengono date le stesse opportunità. E per questo a chi ha meno mezzi e risorse viene fornito più aiuto. Perché se non c'è la scuola, non solo la scuola ma soprattutto la scuola, che garantisce questa possibilità di rimuovere gli ostacoli alla cittadinanza piena per tutti non solo la nostra Repubblica non si può chiamare fondata sul lavoro, ma non si può nemmeno definire democratica, perché una democrazia che non si impegni a realizzare una uguaglianza di fatto, è una democrazia solo formale. E quindi non è una democrazia.

Per questo noi crediamo che la scuola sia l’istituzione fondamentale che realizza l’art. 3 della Costituzione. E crediamo che gli insegnanti, il personale scolastico, gli studenti, i genitori, devono dare alla scuola un valore centrale, sia nella dimensione individuale che in quella collettiva dell’esistenza dei giovani, affinché l’esercizio della democrazia sia davvero effettivo.

Quello che è successo l’8 giugno scorso è il totale sovvertimento di questa idea di scuola. E non si tratta di un discorso “bacchettone” rivolto da noiosi adulti a vivaci e vitali adolescenti, di una predica tesa a togliere a giovani provati da mesi di restrizioni legate alla pandemia il loro diritto di stare assieme, di festeggiare la fine dell’anno scolastico, di manifestare magari anche con un po’ di esuberanza la loro gioia per la fine della scuola o del loro ciclo di studi, cantando e facendo un po’ di baldoria.

Tutto questo alle studentesse e agli studenti del Virgilio era stato accordato. Ma molti di loro hanno premeditatamente disatteso ogni impegno a mantenere un clima di serenità e convivialità, di rispetto e considerazione per l’istituzione scolastica, per quello che rappresenta, per chi ci lavora. C’è stata invece in molti la volontà lucidamente perseguita di dimostrare disprezzo verso quei luoghi, chi ci lavora quello che si fa. Un disprezzo che accomuna l’istituzione, le persone che la rappresentano, le regole.

Nelle urla, nelle parolacce, nei litri e litri di acqua, nelle uova e negli oggetti gettati ovunque, nei botti e nei fumogeni; nelle mascherine ostentatamente abbassate e negli assembramenti, nei corpi mezzi nudi che giravano dappertutto esibendo zaini vuoti di libri e pieni di cibi e bevande; nelle risposte arroganti e sprezzanti date a chi cercava di contenere e controllare la situazione; in tutto questo c’era molto di più di una manifestazione carnevalesca, di una volontà di socialità e festa: c’era in diversi studentesse e studenti il desiderio di mostrare nel modo più sguaiato e sprezzante che la scuola della Repubblica la subiscono, tutt’al più la tollerano, ma in fondo la disprezzano. 

Rispetto a questo è necessario fare una riflessione profonda nel prossimo anno scolastico per indagare le ragioni di questo rancore e di questo disagio. Come comunità scolastica educante non possiamo non farcene carico, cercando di comprendere in cosa la comunità scolastica, dirigente, docenti, personale scolastico, ma anche genitori, mezzi di comunicazione e contesto sociale e culturale, abbia sbagliato, veicolando – malgrado le intenzioni – l’dea della scuola come un vincolo, un ostacolo o un nemico; un’istituzione lontana o oppressiva; invece che il luogo dove crescere nel faticoso ma cruciale sforzo di diventare se stessi e capire il mondo; insieme agli altri; non a prescindere dagli altri. E men che meno contro gli altri.

Pubblicato il 14-06-2021